Qualche giorno fa le stazioni sciistiche della nostra Provincia hanno cominciato ad azionare i cannoni per l’innevamento programmato. Pochi giorni dopo ha nevicato qualche cm di neve, il giorno dopo ci ha piovuto sopra creando uno spesso strato di ghiaccio, 5-8cm circa, ha ricoperto tutto. Gelicidio. Verso l’ora di pranzo è arrivato un vento caldo che nel giro di mezz’ora, mezz’ora davvero, ha completamente sciolto quello spesso strato di ghiaccio che aveva ricoperto ogni cosa. Il giorno dopo ancora, a 1800 metri, si stava bene con un leggero piumino smanicato. Il 2 Dicembre.
E tutta quella neve sparata? Qualcosa ha resistito, qualche chiazza qua e là.
Sui miei social ho condiviso la situazione, mettendo il punto sui fondi PNRR che nel giro di qualche settimana verranno trasferiti dal Governo alla Regione Piemonte. Una parte di questi sono destinati all’innevamento programmato, 20 milioni per l’esattezza alla nostra Provincia Cuneese. Ho poi specificato che come Amministratrice, ma come abitante di montagna in primis, mi auguro che tali fondi siano spesi non solo esclusivamente per l’innevamento ma anche per adeguare l’infrastruttura invernale alla fruizione estiva. Mi spiego meglio: molti impianti di risalita non sono nati per il trasporto dei pedoni e necessitano di adeguamenti normativi e tecnici, soprattutto per la gestione del carico che graverebbe non solo sulla salita ma anche sulla discesa. Ulteriori adeguamenti che potrebbero rientrare nella conversione estiva dell’infrastruttura potrebbero essere gli appositi ganci da apporre ai seggiolini delle seggiovie per il trasporto delle bici, o l’individuazione di zone esclusive per l’utilizzo delle bici, evitando così pericolose commistioni con i pedoni.
Prima ancora di sollecitare un riscontro al mio pubblico, in molti hanno commentato, segno visibile di quanto il tema sia sentito.
L’opinione si è spaccata: chi concordava con me, fosse necessario spartire le risorse tra estate ed inverno, chi mi scriveva come fosse prioritario per la nostra località destinare le risorse sull’inverno, tuttavia non era totalmente in disaccordo con la bipartizione. Una persona sola, dai toni decisamente veementi era totalmente contro l’innevamento programmato. Alla fine dell’articolo troverete i commenti.
Avendo suscitato tali e tante reazioni, mi è sembrato opportuno approfondire il mio personale punto di vista.
Nell’ultima storia infatti, concludevo scrivendo che destinare tutte le risorse per lo sviluppo della sola stagione estiva sarebbe stato avventato poiché né comunità né politica sono pronti per un taglio netto dalle importanti risorse derivanti dalle infrastrutture invernali.
Allo stesso modo, dedicare interamente le risorse all’innevamento programmato, alla luce del cambiamento climatico, sarebbe sconsiderato. Ripartire invece le risorse a favore sia dell’una che dell’altra stagione potrebbe essere la soluzione più opportuna.
Quando parlo di comunità non ancora pronte ad accogliere tutte le risorse per la sola stagione estiva, accantonando quella invernale, non racconto di popoli di montagna che ignorano il cambiamento climatico. Anzi, in recenti riunioni con esercenti ed albergatori, ho potuto appurare come questi, i quali vivono tutto l’anno la montagna, siano ormai entrati in ottica di una stagione estiva Pasqua-Santi (aprile-novembre) e chiedano infrastrutture pronte ad una fruizione estiva prolungata per poter affrontare inverni sempre più corti ed incerti.
L’idea che viene condivisa durante le riunioni degli ultimi anni, e dai commenti che ricevo continuamente sui miei canali, è quella di puntare su una stagione stabile e sicura -quella estiva- per poter così affrontare le incertezze ed i costi legati all’inverno.
Decidere di non adeguare l’offerta alpina alle esigenze derivanti dal cambiamento climatico equivale a pesanti ricadute sulle comunità montane che già hanno sofferto lo spopolamento di due guerre mondiali prima, e della rivoluzione industriale poi. Negli anni ’50 e’60, per molte comunità montane, l’unico motivo per rimanere, per resistere, e non emigrare negli agi offerti dalla città, è proprio stato il turismo invernale legato allo sci. In estate ci si dedicava al pascolo e all’agricoltura, in inverno ai servizi legati allo sci. Quelle stesse terre vissute in estate, ora in inverno valevano qualcosa, grazie a canoni di affitto pagati dalle società degli impianti di risalita ai contadini. Lo sci fu una salvezza. Molti di quei contratti sono tuttora in vigore, ma purtroppo questi prevedono un accordo per la sola stagione invernale, e, sebbene oggi non siano adibiti a pascolo, non sono fruibili nella stagione estiva in virtù di contratti vetusti.
Questo fa comprendere quanto lavoro ci sia ancora da fare nell’uno e nell’altro comparto -sia estivo che invernale.
Parlando di infrastrutture montane, i più estremisti in tema si sono lanciati contro gli impianti di risalita definendoli “parchi gioco” “abuso dell’ambiente naturale” e affiancando l’immagine dello sci alpino a “lusso per pochi”. Vorrei mostrarvi un diverso punto di vista che si offrirebbe grazie allo sfruttamento di queste infrastrutture sia in estate che in inverno. Gli impianti di risalita infatti, già a livello normativo si trovano nella stessa categoria del trasporto pubblico. Adeguarli ad un utilizzo annuale significherebbe offrire un servizio inclusivo, a beneficio veramente di tutti. Riflettiamo: per andare in montagna ad oggi hai bisogno di una macchina. Questo esclude minorenni, anziani e disabili. Sfruttare appieno le potenzialità degli impianti di risalita è esattamente il contrario di affiancare alla montagna l’idea di un lusso per pochi, poiché permetterebbe a tutti di raggiungere l’alta quota. Se la vogliamo mettere in questi termini, allora dovremmo vedere lo scialpinismo come un lusso per pochi, poiché solo coloro i quali hanno un discreto allenamento riescono a raggiungere le vette. E lo dico da scialpinista incallita, che ha sempre vissuto questo sport come un ritorno a momenti lenti, di immersione nella natura. Mi capita di mostrare sui social immagini incredibili di vette e montagne e la maggior parte dei messaggi che ricevo sono: “io non posso più farlo” “mi piacerebbe ma sono stato operat*””che posti, ma non sono allenato”.
In questo senso lo scialpinismo diventa elitario, poiché solo i più allenati e preparati possono affrontare la montagna. Mentre grazie allo sci alpino, attività per cui all’epoca furono inventate le manovie, gli ski lift prima, le seggiovia e funivie dopo, la montagna apre le porte a tutti.
E qui i detrattori della montagna mi diranno che tale ambiente, proprio perché impervio e tecnico, dovrebbe essere precluso solo a coloro i quali siano in grado di affrontarlo. Questa mi sembra una posizione decisamente estremista. Il bene naturale per quanto mi riguarda dovrebbe poter essere vissuto dalla maggior parte delle persone, la montagna, o almeno parte di essa, laddove già esistono le infrastrutture, deve poter essere inclusiva.
Passando all’innevamento programmato, i più agguerriti in tema lo definiscono accanimento terapeutico. Anche questa mi sembra una posizione decisamente estremista. Partiamo dalla prima critica: il consumo di energia. Gli impianti di risalita lo sappiamo tutti, sono energivori. Forse che, le fabbriche che troviamo in città non lo siamo? Il presupposto dei detrattori dell’innevamento programmato è chiudere il rubinetto a prescindere, proprio perché la montagna soffre le conseguenze del cambiamento climatico più di altre zone. Non permettere piani di sviluppo dell’innevamento programmato senza dare facoltà alle società che gestiscono gli impianti di optare per fornitori di energia proveniente da fonti rinnovabili, sarebbe un ulteriore schiaffo alla montagna e alla sua economia. Oltre il danno pure la beffa.
Tutto ciò non tiene in conto un altro dato fondamentale: l’inversione termica, fenomeno che ormai è diventato norma. Nella nostra zona per esempio, il piccolo comprensorio a quota 1000 metri ha giovato di più giorni di freddo rispetto alla quota 1800-2000. Precludere le risorse per le stazioni sciistiche al di sotto dei 2000 metri è ancora volta un errore, proprio perché non tiene conto di questo fenomeno ormai consolidato dell’inversione termica.
La seconda critica più efferata riguarda le risorse idriche. Critica che però non tiene conto che ‘innevamento programmato’ significa soprattutto costruire bacini idrici. E che tali infrastrutture per la raccolta dell’acqua saranno fondamentali non solo per l’innevamento programmato ma come risorsa idrica in generale, che sia essa per l’agricoltura o l’allevamento o il turismo, a prescindere di come essa venga impiegata.
A questo punto la mia posizione potrebbe non sembrare chiara. Ribadisco il fatto che non è il momento di estremismi né da un lato né dall’altro. Ovvero, non è il momento di tagliare il cordone ombelicale dal comparto neve, né della visione in chiave esclusivamente estiva della montagna.
Ciò di cui stiamo parlando è d’altronde una rivoluzione, e non solo delle comunità montane ma della società intera, che ha dimostrato a più riprese di non apprezzare sempre e totalmente la montagna così com’è. Trekking? No, trail running! Bici? No, e-bike! Ben vengano le innovazioni, ma nel frattempo, basta puntare il dito contro le aree alpine che più di tutte soffrono il cambiamento climatico e lo spopolamento. I tempi sono ancora immaturi per una vera e propria rivoluzione. Per fare un esempio, in quanto Assessore al turismo del Comune di Limone Piemonte potrebbe venirmi in mente di vietare gli spostamenti in auto sul nostro territorio durante i periodi di massima affluenza, stimolando l’arrivo in treno. Scelta Green, ma suicida proprio poiché i tempi sono immaturi: i treni sono pochi e con orari e coincidenze opinabili, gli ski shuttle e trasporto pubblico locale non riuscirebbero a sostenere i numeri -ed i costi- di un così grande afflusso di passeggeri.
Ben vengano quindi i fondi del PNRR destinati all’innevamento programmato, ma che siano allocati con quote da riservare alla fruizione estiva delle stesse infrastrutture.
Vi lascio di seguito alcune delle riflessioni che mi sono pervenute lanciando l’argomento sui miei social.
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